Eseguire uno squat tecnicamente corretto rappresenta un’attività estremamente complessa.
Allo stesso tempo però è uno degli esercizi più completi, ed è per questo che viene impiegato in diversi aspetti del fitness.
Sia come esercizio aerobico durante i corsi, sia come fondamentale per
il lavoro con i sovraccarichi.
Spesso però, proprio mentre cerchiamo di accovacciarci, ci rendiamo conto che qualcosa non va.
Le cause possono essere molteplici e tra queste anche la caviglia.
Vi starete chiedendo “come può questa piccola articolazione influenzare uno spostamento così grande?”
Utile per capire il fenomeno, è avere una panoramica generale dello squat e di cosa succede al nostro corpo.
Si vede nelle immagini come l’articolazione della caviglia, assieme a quella del ginocchio e dell’anca, siano gli artefici del movimento dello squat.
Nel dettaglio, possiamo semplificare la descrizione del movimento in due fasi.
Durante la fase di discesa l’anca e il ginocchio si flettono (si chiudono/avvicinano) e la caviglia si dorsiflette.
La dorsiflessione, significa che la tibia (l’osso più interno della gamba, comunemente chiamato “stinco”) si avvicina al dorso del piede.
La seconda fase dello squat, invece, può essere riconosciuta come fase di risalita e qui si esegue esattamente il contrario.
Anca e ginocchio si estendono (aprono/allontanano) e la caviglia esegue
una plantaflessione.
Ossia si allontana il dorso del piede dalla parte anteriore della gamba.
Per comprendere al meglio i movimenti della caviglia, immaginatevi di sdraiarvi a pancia in su e di muovere la caviglia.
Se avvicinante a voi la parte anteriore, fate una dorsi flessione (uguale alla
discesa durante lo squat) mentre se allontanate il piede da voi farete una plantaflessione (fase di risalita).
Ovviamente senza avere il peso del corpo i movimenti della caviglia saranno maggiori, ma sono proprio gli stessi che avvengono durante l’esercizio.
Utilizzando proprio questo esempio molto chiaro vi renderete conto anche di quali muscoli agiscono per eseguire quei movimenti.
I muscoli anteriori della gamba si attivano per effettuare una dorsi-flessione (punte delle dita dei piedi verso di voi) e quelli posteriori per la plantaflessione (punte dei piedi si allontanano).
Ritornando al nostro tanto amato squat, la caviglia si dorsiflette (avvicina il dorso del piede e la tibia) passivamente.
La gravità infatti “schiaccia” il nostro corpo verso il suolo, quindi nessun
muscolo “attivamente” agisce durante questa fase.
I muscoli posteriori però (che invito sempre ad immaginare come delle corde) si tendono/allungano mentre ci chiudiamo.
Questo stiramento dei muscoli opposti al movimento, è un processo di protezione per l’organismo ma, se eccessivamente “corti” possono rappresentare un freno eccessivo al movimento.
Un altro freno dettato dalla caviglia può anche avere natura articolare, quindi non dovuto a una eccessiva tensione dei muscoli posteriori della coscia.
In questo complesso panorama sappiamo che il corpo è capace di adattarsi per raggiungere l’obiettivo che gli prefiggiamo.
In questo caso, gli chiediamo di accovacciarsi il più possibile, ma mentre scendiamo e ritroviamo un’ostacolo della caviglia l’adattamento del corpo è quello di protendersi in avanti.
Un esempio molto intuitivo è quello di immaginare di sedersi indossando degli scarponi da sci.
Immaginate l’adattamento del corpo a questo limite dell’articolazione tibiotarsica (sinonimo di caviglia).
È come se ci fosse ad un certo punto un muro che vi blocca le ginocchia mentre scendete, costringendovi a spostare il bacino indietro e piegarsi in avanti.
Altrimenti in alternativa dovreste sollevare i talloni ma questo è estremamente difficile sotto carico.
Nella pratica, un modo per capire se rientrare in questa casistica è valutare se mentre vi accovacciate avete bisogno di alzare il tallone da terra.
Inoltre l’incurvatura della schiena è un segnale tipico di chi ha un’enorme rigidità di caviglia. In questo caso il muro di blocco durante la discesa è ancora più spostato indietro, deviando il bacino in modo tale che solo piegando la colonna vertebrale (incurvandola) è possibile spostare le spalle in avanti e recuperare un po’ la stabilità.
In tutte queste informazioni immagino vi stareste chiedendo “vabbè, uno non è portato per lo squat e basta!”.
Nonostante queste difficoltà è estremamente sbagliato convincersi di non essere adatto per lo squat.
In primo luogo, perché la mobilità di caviglia è un parametro recuperabile attraverso uno stretching ben seguito da qualche esperto, che se potrà aiutarvi a recuperare qualche grado durante la discesa.
Inoltre un’altra semplice soluzione è posizionare un rialzo sotto al tallone dai 2 ai 4 cm.
Il muro è stato così abbattuto e per miracolo è avvenuto il cambiamento!
Ovviamente il rialzo non provoca un cambiamento dell’ampiezza del movimenti della caviglia che resterà comunque limitato.
Questo semplice rimedio però, permette di modificare l’angolo della tibia rispetto al suolo che si mostra diminuito.
All’inizio quindi, sarebbe ottimale dedicare del tempo per ritrovare il rialzo corretto e la posizione più confortevole per eseguire l’esercizio.
Iniziate scalzi, a carico naturale, e provate varie altezze del rialzo e fate attenzione anche alla distanza dei talloni.
Magari di ottimo aiuto sarebbe registrarsi con un video per poter integrare le informazioni del nostro corpo durante i vari test con quelle visive del video.
Anche se potete sentirvi un po’ scettici a riguardo, è sempre bene provare nuovi consigli.
Anche perché, se volete un miglioramento e il limite oggettivo è presente, perché non tentare?
Ritornare alle proprie comodità è sempre possibile.
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